Teen immigration: una nuova generazione in movimento

Per la prima volta nella storia d’Europa, dal suo nascere agli inizi del Medioevo, ci troviamo di fronte a una migrazione di bambini e ragazzi che partono soli dai propri Paesi in cerca di una vita migliore. La Teen Immigration – così abbiamo deciso di definirla – è un fenomeno generazionale inedito che richiede nuove chiavi di analisi e interpretazione rispetto alle migrazioni del passato. 

Non è una prima generazione di migranti propriamente detta – alle loro spalle spesso le famiglie svolgono un ruolo cruciale – ma non è nemmeno una seconda generazione, pur avendo in comune molti tratti coi ragazzi cresciuti in Italia. Il primo obiettivo di questo saggio è dunque far emergere i tratti peculiari di questa generazione, cercando di utilizzare nuove lenti di interpretazione. In secondo luogo tratteggeremo le caratteristiche di un sistema di accoglienza sicuramente ricco e articolato ma tuttavia incompiuto, per quanto riguarda il passaggio cruciale dalla minore alla maggiore età. In terzo luogo, vengono proposte tre sfide fondamentali per la costruzione dell’autonomia dei ragazzi, sintetizzati con le tre parole: legami, luoghi e capacità, a partire da alcuni casi di studio condotti dalle autrici in Lombardia tra il 2016 e il 2018. 

La questione in gioco è quella di capire come investire in maniera lungimirante sul futuro di questi ragazzi, favorendo la realizzazione dei loro obiettivi personali e professionali. Questa generazione la possiamo infatti cogliere, con le parole di Alberto Melucci, solo al passaggio d’epoca, quando passano dalla minore alla maggiore età. È lungo quella frontiera temporale e non più spaziale, che possono ancora una volta perdere tutto o costruire il proprio futuro. Quando escono dalla protezione della comunità e con gli strumenti intellettuali, relazionali e economici che saremo riusciti a dare loro, potranno precocemente guadagnarsi una posizione di tranquillità e equilibrio, oppure disperdersi e tornare numeri nel mare aperto della grande migrazione. 

Questa generazione è d’altra parte quella che più facilmente e rapidamente può compiere un positivo processo di integrazione e affrancamento dal bisogno, perché ha in parte già allentato i legami con la terra di origine, è in viaggio da anni, è priva di legami familiari a cui fare un giorno ritorno. Dunque, è una generazione arrivata per rimanere o per proseguire il viaggio verso altri Paesi europei, di certo non ha nel proprio progetto migratorio il ritorno in patria. 

In una corsa contro il tempo, che da qualche anno comunità minori e Sprar hanno ingaggiato per salvare, almeno nelle situazioni più virtuose, più ragazzi possibile da un destino incerto, le recenti normative approvate rischiano di abbattere del tutto questi percorsi. Il “decreto sicurezza” infatti accorcia i tempi dell’accoglienza e della formazione, precarizza i percorsi di accompagnamento e smobilita l’intero sistema di protezione, rendendo fragile il percorso di vita dei ragazzi accompagnati così come dei loro accompagnatori. 

Tre sono le caratteristiche fondamentali di questa nuova generazione di ragazzi che partono soli verso l’Europa: il precoce allontanamento da casa, sostenuti o meno dalle proprie famiglie; l’arrivo da minori in Europa e l’inserimento in un sistema di accoglienza, istruzione, accompagnamento; la cultura giovanile – “teen culture” – di cui si fanno portatori, insieme ai loro coetanei sparsi nel mondo, con cui comunicano attraverso i social network.  

Partire presto. Il primo elemento da considerare è il precoce allontanamento da casa e dalla famiglia, specialmente se lo raffrontiamo con gli stili di vita europei e italiani in particolare. In molti paesi dell’Africa, dal Gambia alla Guinea, dall’Egitto alla Nigeria, ragazzi e ragazze che hanno appena varcato l’adolescenza si spostano dalla casa nativa per ragioni di studio, per vivere presso parenti prossimi, per iniziare a lavorare e a rendersi autonomi dalle famiglie. Questa uscita dal nucleo familiare avviene sia in modo sereno e concertato con i genitori, sia in modo traumatico quando le famiglie hanno storie più travagliate (secondi matrimoni delle madri, ingresso in famiglia di nuove figure parentali, morte di uno dei genitori, sovraffollamento, povertà), portando all’isolamento dal nucleo famigliare di ragazzi che si mettono in cerca di condizioni di sopravvivenza. 

Questa mobilità avviene comunemente, dunque, dentro gli Stati d’origine e sempre più spesso con migrazioni che investono Stati limitrofi, dal Gambia verso il Senegal, dalla Guinea verso la Liberia, e così via. Una mobilità facile, entro territori di prossimità che attirano con la promessa di un lavoro, di un’attività remunerativa, persino di un’esperienza da condividere con amici e compagni del proprio villaggio. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Il viaggio che doveva portare i ragazzi in contesti di prossimità si allunga, diventa un viaggio senza ritorno, con tratte sempre più lunghe e destinazioni sempre più lontane. Ed è qui che l’Italia comincia a essere interessata dall’arrivo di ragazzi soli e sempre più giovani, con provenienze variegate da paesi africani, molti dei quali non avevano prima relazioni migratorie con il nostro Paese. Altri come ragazzi eritrei, somali, egiziani e nigeriani hanno invece legami ormai profondi con le comunità di connazionali sparsi in Europa. 

Questo significa che gruppi di ragazzi provenienti dal Benin o dalla Guinea Konakrè sono i pionieri di nuove catene migratorie, senza comunità di riferimento nel nostro Paese e senza appoggi. È un’immigrazione “a sbalzo”. 

Nella decisione di abbandonare ancora molto giovani la casa di famiglia, agiscono sia meccanismi push che meccanismi pull: da una parte, una spinta di sopravvivenza in cui agiscono i vissuti individuali, le violenze subite, la sensazione di pericolo, l’incertezza economica quando non la fame, che induce i ragazzi a mobilitazioni individuali e di gruppo alla ricerca di condizioni di vita migliori; dall’altra, la loro scelta è continuamente sostenuta da fattori esogeni: mediatori e/o sfruttatori che orientano le scelte dei ragazzi, li traggono in inganno, orientano i loro destini, li spingono lungo tratte migratorie ormai consolidate. Le ricostruzioni delle sequenze di viaggio fatte da Alessandro Leogrande hanno messo ben in luce l’esistenza di passeur che approfittano dell’ingenuità dei ragazzi per utilizzarli come merce di scambio e come schiavi di lavoro temporanei nel tragitto verso l’Europa. 

È quindi evidente da queste prime osservazioni come la separazione netta tra migranti economici vs migranti politici e rifugiati, quando parliamo di Teen Immigration, sia priva di senso. Nella scelta di muoversi si mescolano ragioni e inconsapevolezza, narrazioni e fascinazioni, paure e stati di necessità, violenze e sogni. 

Questa spinta a muoversi è la cifra di un continente giovane, con una mobilità altissima dei giovani sul territorio, un’abitudine a spostarsi frequente che deriva dalle nuove opportunità offerte dalle città e dalla diffusione delle nuove tecnologie che facilitano l’accesso alle informazioni e il desiderio di cambiare condizione di vita.

In fondo non è così simile a quanto sta da anni accadendo in Europa con l’aumento della mobilità dei ragazzi e dei giovani sul territorio? L’abitudine a viaggiare, sempre più in giovane età, il desiderio di frequentare un anno all’estero durante le scuole superiori, la diffusione dell’esperienza Erasmus durante l’Università, le migrazioni per lavoro, stage, esperienze estive non rispondono alla stessa necessità di moltiplicare le esperienze formative e culturali allargando i propri confini di vita? I numeri degli Expat italiani all’estero attestano un fenomeno simile e crescente anche in Italia. Per questo motivo insistiamo tanto sul termine Teen Immigration. Dobbiamo essere capaci di considerare i caratteri inediti di questa generazione, se non vogliamo operare facili riduzionismi. 

Arrivare minori.

Il secondo elemento riguarda l’età di arrivo nel nostro Paese. Per la prima volta nella storia delle migrazioni verso l’Italia ad arrivare sono ragazzi minorenni (tra i 10 e i 17 anni), che hanno viaggiato senza familiari e che non raggiungono familiari già immigrati, partiti prima di avere generato un proprio nucleo familiare. Sono ragazzi che hanno legami familiari già allentati, talvolta sono privi di uno o entrambi i genitori. 

Tra la partenza dal Paese di origine e l’arrivo nel nostro Paese è intercorso un tempo assolutamente variabile. Qualche mese, quando il viaggio è avvenuto in modo fortunato, qualche anno nei casi più drammatici. Il viaggio li ha portati attraverso pericoli, fughe, prigionie, lavori forzati, torture, abbandoni, solitudini grandissime: una volta arrivati in Italia non sono più i ragazzi giovani e inesperti che erano alla partenza. Il viaggio li ha trasformati, li ha separati forzatamente dalle loro abitudini e dalla loro culture. 

Di tutto questo viaggiare e travagliare rimane molto poco nelle cronache burocratiche e nelle pratiche amministrative. La varietà dei loro profili viene assimilata nell’unica definizione di minori non accompagnati che – seppure così utile per garantire tutele, protezione e accompagnamento – ci consente di vedere solo una parte della questione. Indica, tutti quei “cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e gli apolidi di età inferiore ai 18 anni che si trovano, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privi di assistenza e rappresentanza legale” (art. 2 decreto legislativo 142/2015). 

I dati sui minori stranieri ci aiutano ad affinare la lettura. Nel 2017 in Italia sono arrivati 18.303 minori stranieri, con un incremento del 5,4% rispetto all’anno precedente. Di questi il 6,6% è accolto in Lombardia, prevalentemente nella città di Milano. 

La distribuzione per età dei minori non accompagnati evidenzia che alla fine del 2017 il 60.3% presenti in Italia aveva 17 anni, il 23.4% 16 anni, il 9.6% aveva 15 anni e il restante 6.7% aveva meno di 15 anni. Nello specifico, dal 2015 al 2017 è cresciuta la percentuale dei minori nella fascia più alta: nel 2015 i 17enni erano il 54% (fonte: Ministero del Lavoro – Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione – Div II). Inoltre, anche se con brevi variazioni, la percentuale maschile si conferma più alta di quella femminile. 

Questi dati evidenziano che i minori stranieri non accompagnati hanno una età sempre più alta al momento dello sbarco in Italia, tra i 16 e i 17 anni. Questo dato è molto utile per chi deve organizzare al meglio la loro accoglienza da minori e l’accompagnamento verso l’autonomia alla maggiore età: i servizi sociali e le istituzioni predisposte alla loro tutela hanno a disposizione sempre meno tempo per avviarli positivamente alla propria autonomia prima dall’uscita dai sistemi di protezione, al compimento dei 18 anni.

La teen culture.

Il terzo elemento riguarda un tratto di comunanza culturale generazionale. Sono ravvisabili alcuni tratti tipici delle community giovanili: il modo di vestire, i riferimenti musicali, la consuetudine con le nuove tecnologie, un plurilinguismo diffuso, la fascinazione per il calcio, una diffusa conoscenza delle situazioni politiche dei propri paesi d’origine, l’attitudine ad assumere usi e costumi del paese d’adozione che sono riconducibili proprio alla loro giovane età. Questa apertura mentale viene potenziata dai percorsi scolastici che i ragazzi compiono all’arrivo in Italia, conseguendo l’esame di terza media, spesso con ottimi risultati e con performance scolastiche positive. Come non è mai avvenuto nelle generazioni precedenti. L’acquisizione della lingua italiana, le conoscenze storiche, una prima alfabetizzazione alle scienze e alla logica matematica in vista del diploma di scuola media inferiore è una base imprescindibile di integrazione. Il tipo di esperienza fatta e il periodo trascorso nelle comunità minori ha facilitato soprattutto relazioni tra pari, rafforzando reti tra coetanei, non sempre e non solamente connazionali, e con ragazzi a loro volta privi di legami familiari o comunitari.

Questo elemento di orizzontalità ha contribuito a rafforzare l’appartenenza generazionale e la nascita di linguaggi, routine, rituali, comuni. Non si può non evidenziare la differenza tra questa generazione e le precedenti: nella storia Europea costituisce un fenomeno senza precedenti, proprio perché privo di fili e di relazioni precedenti.

Abbiamo conosciuto un’immigrazione dagli ex paesi coloniali, un’immigrazione di matrice religiosa (legata, ad esempio, ad alcune comunità filippine o latino-americane), un’immigrazione al femminile legata ad alcune attività di cura. Mai l’Europa, in tutta la sua lunga storia, ha conosciuto un’immigrazione di pionieri minorenni, aperta al mondo e ignara delle sue mete, nativa digitale e plurilingue, di tradizione religiosa ma non bigotta, informata della propria storia politica e civile e insieme attenta ai cambiamenti.

I social network accentuano questi tratti generazionali. I ragazzi sono inseriti in gruppi web di ragazzi del loro paese d’origine, ma anche ragazzi conosciuti durante il viaggio o all’arrivo in Italia. Tra loro condividono video, foto e notizie che spaziano dalla musica alla politica alla religione, usando le proprie lingue madri o più frequentemente un globish fatto di parole imparate alla scuola inglese del paese d’origine o sviluppate sui social stessi. Anche chi non è mai stato a scuola conosce le parole-chiave con cui comunicare nel web per esprimere i propri gusti, le proprie aspirazioni o la propria protesta.  In questo modo danno vita a una vera e propria “teen culture” fatta di gusti e mode condivise, ma anche informazioni sul lavoro e i documenti, messaggi politici e religiosi.